Pianto per l’Etiopia
Quaranta anni fa, la mia storia giornalistica si fece seria: assieme a Guido, riuscimmo a raggiungere le regioni del Nord dell’Eritrea, liberate dai partigiani dell’Eplf, il Fronte Popolare di Liberazione Eritreo. Era la guerra trentennale per la libertà di quel paese dal dominio etiopico. Una lotta feroce fra africani. A quel tempo eravamo a fianco degli eritrei contro il tiranno filo-sovietico Hailé Mariàn Menghistu, ma non riuscivamo a credere possibile una loro vittoria e l’indipendenza del loro paese. Come ci sbagliavamo: otto anni dopo quel nostro, primo viaggio, gli eritrei vinsero la loro guerra per la libertà. Furono giorni di euforia, di grande felicità, di stupore. La pace, negata da sempre nel Corno d’Africa, sembrava possibile. I nuovi leader dell’Eritrea e dell’Etiopia , Isaias Afewerki e Melles Zenawi, ci apparivano saggi. Devo riscrivere un’altra volta: ‘come ci sbagliavamo!’, nel 1998, scoppiò una nuova terribile, insensata e sanguinosa guerra fra Eritrea ed Etiopia. Le vittime furono centomila, il sogno della pace si trasformò in un incubo. Tigrini ed eritrei, stessa religione, stessa gente, spesso imparentati fra loro, si spararono addosso senza che nessuno riuscisse a fermarli. Dopo il 2000, e per altri vent’anni, fra tensioni e allarmi, si è vissuta una fragile e tesa tregua fra Etiopia ed Eritrea (una non-pace e non-guerra). Nel 2018, per la prima volta, Abiy Ahmed, un militare di origine oromo, una confederazione di popoli, l’etnia più numerosa del paese, viene nominato primo ministro, scalzando dal potere i tigrini. E’ nuovamente l’illusione di una pace possibile, i primi passi di Abiy sono più che incoraggianti: libera prigionieri politici e firma un accordo di pace con l’Eritrea. Abiy viene consacrato dalla comunità internazionale: gli viene assegnato il Nobel per la pace. Fummo rassicurati dalle sue parole pronunciate a Oslo: ‘Aiutare la pace è come far crescere un albero. La pace ci chiede un impegno incrollabile e un’infinita pazienza’.
Ma la pazienza non è una dote sul più vasto altopiano etiopico: Addis Abeba, capitale del paese, e Mekelle, capoluogo del Tigrai, hanno giocato con il fuoco. Nel 2020, l’Etiopia accusa i tigrini di aver assalito una caserma federale a Mekelle e Abiy ordina all’esercito federale di occupare il Tigrai. E’ guerra aperta. Poche settimane e la capitale tigrina cada in mano etiopica. Il 28 novembre, Abiy annuncia la fine della guerra. Ancora una volta, parole improvvide: i soldati tigrini, scomparsi nelle montagne, riappaiono all’improvviso e l’esercito federale etiopico si dissolve. I tigrini riconquistano la propria regione e non si fermano: avanzano in terra amhara, si spingono nella Rift Valley per interrompere strada e ferrovia fra Gibuti e Addis Abeba, conquistano città strategiche, arrivano a poco più di duecento chilometri dalla capitale. Che viene accerchiata, a Sud, dagli uomini dell’Oromo Liberation Army. A New York, nove ‘rappresentanti’ di altrettanti gruppi ostili al governo centrale firmano un accordo per combattere Abiy Ahmed. E’ la guerra di tutti contro tutti. E’ un orrore. Il rischio della dissoluzione dell’Etiopia è più che reale: una guerra civile totale ridurrebbe il paese a una nuova Jugoslavia. Pesano decenni di rancori, tensioni, massacri, vendette.
Le guerre del Corno d’Africa sono sempre state insensate. Adesso i luoghi che ho conosciuto sono devastati, distrutti gli alberghi dove ho dormito. non ho più notizie degli amici intrappolati in quelle terre. Non ho notizie della mia famiglia africana. Uomini e donne che ho conosciuto chiedono il mio aiuto. Cosa posso fare?
Le èlite militari ad Addis Abeba, a Mekelle, ad Asmara hanno scatenato un inferno. In un anno di guerra, due milioni e mezzo di profughi, la carestia si salda, come sempre, alla violenza. Sono decine di migliaia le vittime. Penso di aver sempre sbagliato le mie previsioni africane. Come quelle degli esperti internazionali. Impotenti le Nazioni Unite, L’Unione Africana, l’Unione Europea. Sono stato un illuso: avrei messo le mani sul fuoco per Isaias Afewerki (non me lo perdono), ho creduto nella rettitudine dei tigrini (ma dove guardavo?), ho avuto fiducia di Abiy (come è stato possibile ingannarmi così). Adesso ho paura, per i miei ragazzi, per gli uomini e le donne che ho conosciuto. Ho paura per l’Etiopia.
Matera, 9 novembre 2021
Grazie Andrea per l’articolo…..anch’io ho paura per Etiopia!
Ciao, Paolo. Grazie a te. Non so chi possa fermarli…
Hai messo per iscritto i miei pensieri! Bravissimo Andrea, chiaro e sintetico. E purtroppo anche veritiero.
Mi associo al tuo pianto per l’Etiopia. Dopo che a febbraio 2020 abbiamo fatto un bellissimo viaggio in Tigrai, ispirato anche dal tuo blog, conoscendo tante belle persone, ora appare incredibile l’incubo che stanno vivendo. Leggo le news di Al Jazeera e mi viene da piangere. Non riesco più a guardare le foto di quel viaggio perché mi provocano sofferenza anziché il piacere di un bel ricordo. Inizialmente abbiamo mandato soldi ai nostri amici finché le banche a Mekelle erano aperte. Ora, dopo mesi di black out, ci chiedono aiuti attraverso triangolazioni in Germania o in contanti via Western Union. Non so che fare. Hai qualche suggerimento?
E’ una tragedia, Stefano. Ho due ragazzi laggiù, due ‘figli’. Della ragazza non sappiamo niente, vive a Wukro, dove si è combattuto duramente. Il ragazzo lavora in un cantiere sulla strada di Assab e là, per quel che possiamo saperne, si combatte in questi giorni. Stiamo cercando di fargli avere del denaro, con una triangolazione con un’amica di Addis. Western Union nei giorni scorsi non funzionava al Nord dell’Etiopia, Internet non funzionava almeno quando abbiamo provato noi. Cerco di farti sapere se troviamo un modo. Il mio telefono è 338.8887493
Andrea, grazie del riscontro. Sì, fammi sapere per cortesia se troverete il modo di fare avere soldi attraverso un canale sicuro a Tigrini di cui conosciamo solo il nome (che potrebbe essere uguale a quello tante altre persone). Purtroppo ci contattano a singhiozzo su Whatsapp e non sappiamo che attendibilità dare alle loro richieste di aiuto. Di certo gli indirizzi e gli estremi di c/c bancario che avevamo non sono più validi o attivi. Vorrei evitare di finanziare involontariamente loschi mediatori o trafficanti che in queste situazioni abbondano.
Un caro saluto,
Stefano
Andrea… ti ho letto per caso. Tu sai cosa significa per me l’Etiopia…. Il Paese che ho amato lo leggo ogni giorno negli occhi innocenti di Nathan, il mio nipotino…
Clara
L’Etiopia mi ha dato molto. L’ho percorsa anche seguendo, come tanti, le orme di mio padre. C’è una foto che lo ritrae a Gondar, accanto a lui un piccolo albero. Non ne sono sicuro: ma quell’albero adesso è grande e alto. Non ricostruirò la storia di mio padre. Non riesco. E adesso sapere che tornare in quella terra sarà quasi impossibile, mi ferisce l’anima. Da 20 anni non torno in Eritrea. Questa mattina ho parlato con Addis Abeba. Come si fa?