Accettura/’Non è successo niente’
Nel giorno di Corpus Domini, ad Accettura, paese delle Dolomiti Lucane, cade l’albero della Grande Festa. Finisce uno dei più straordinari riti arborei del Sud italiano cominciato, poco dopo Pasqua, con la scelta del Maggio

Mi piace come gli uomini del Maggio, al mattino, si avvicinano all’albero che ancora vola verso il cielo ad Accettura. Sono passati dieci giorni dalla Pentecoste. Allora l’albero fu innalzato e scalato in una delle più belle feste del Sud italiano. Ora è tempo che il Masc’ torni al suolo, ritorni a essere legno. La festa è davvero finita. I ragazzi, in questa domenica del Corpus Domini, non ci sono. Il loro giorno è quando hanno traportato la Cima dai boschi di Gallipoli fino in paese. Oggi lasciano soli gli uomini del Maggio. Ci sono i ragazzini, invece, appena usciti dall’infanzia. La Cima, l’agrifoglio, ora sta a trenta metri dal suolo. Le sue foglie sono già secche. E’ tempo che cada.



Messa sullo slargo di San Vito. Messa all’aperto. Il sole già scalda alle otto del mattino. Si cerca riparo nell’ombra. Una donna fiorata canta a fianco dell’altare.



Poi gli uomini scendono i gradoni dell’anfiteatro dove il Maggio ancora si ostina a stare in piedi. Girano attorno all’albero. Hanno movimenti lenti. Quasi circospetti. Come se nemmeno loro volessero abbattere quel cerro unito all’agrifoglio. Ma questa storia va fatta. E allora facciamola. Il lavoro ha le sue ripetizioni: ci sono, ancora una volta, da togliere le pietre. ‘Ne hanno visto di sudore, queste pietre’, mi aveva detto Ruggero. Le pietre sono il cemento che sorregge l’albero. Si comincia. Tutto acquista un ritmo. Arriva un maggiaiolo dalle campagne. Ha le mani sporche di terra e la fatica addosso: ‘Sono stato a zappare i pomodori’. E si mette subito a togliere pietre.





Appare lo str’ngon, il segone. La grande sega. Vecchi tempi. Apparteneva alla famiglia di don Pinuccio. Appaiono gli scalatori. Hanno visto le funi e tutti e quattro scendono con lentezza, le braccia lungo il corpo, serissimi. Ma salirà solo Antonio. E questa volta lo fa con naturalezza e il suo sorriso tranquillo. La maglietta bianca ne stringe i muscoli. Sale in cielo come se fosse una normale passeggiata. Corda, piede, nodo, braccia. Un metro dopo l’altro. Manovra complicata. Da nuoto aereo sincronizzato. Antonio deve annodare la grande corda che tirerà giù l’albero. Niente motoseghe. Si taglia con la grande sega in ferro, dai denti da pescecane. Poi si lavora di accetta. Si fa l’invito: non so descriverlo, si cava via il legno nella direzione in cui l’albero deve cadere. Il Maggio può andare giù solo da una direzione. Dall’altra ci sono le case. Gli uomini già segano e Antonio è ancora per aria. Ha legato la corda e ora scende, come un funambolo, appeso al cielo. Acrobazie, dondolii, il tempo dell’ultimo divertimento. Un’altalena sopra Accettura. Che la fine della festa, sia leggerezza.






Antonio è a terra, gli ultimi colpi di scure, gli uomini tirano dalla piazza. L’albero non ci pensa su. Viene giù come un ciclope. Rimbalza con forza. Vibra il paese. La Cima, l’agrifoglio è quasi in strada. Polvere di foglie. La gente si getta sui rami e sulle foglie. Un ricordo. Un talismano. Un frammento di devozione. Un oggetto beneaugurante. Una donna anziana, in nero, dice: ‘Mio marito andava sempre nei boschi. Ora metto accanto alla sua foto la foglia’. E la stringe in mano. Una ragazzina compie lo stesso rito, crea il suo ricordo. Si chiama Giuliana, ha il nome del Santo. Le generazioni del paese si saldano nell’ultimo atto della festa. Sono appena le nove e trenta.

E’ finita? Ora tutto deve tornare normale. Ci sono ancora ore di lavoro. Da togliere il ceppo dell’albero, da far venire giù le crocce-paranchi, da rimettere i sassi, da spazzar via segature, da portare via i legni per l’asta, da sistemare le corde, da rimettere tutto a posto. Legni, arnesi e funi devono essere già pronte per l’anno prossimo. Mimmo, scarplegger (è sempre stato uno che andava veloce), è il maestro delle corde. Le sistema con cura da marinaio nel magazzino. E’ un archivista di funi. Le corde vengono dal porto di Napoli. Le sue attenzioni permettono che non si rovinino. Mi racconta: ‘Sono salito anch’io. Nel 1969. E senza funi. A coscia’. Il Maggio è importante per la gente di Accettura. E le corde sono tutto: danno equilibrio all’albero e lo tirano su. Poi ne guidano la caduta. I maggiaioli cercano di spiegarmi i segreti. Non trovano le parole. Sanno di fisica, di gravità, di meccanica, ma il loro computer sono le mani che torcono e ruotano per spiegarmi le spinte, le giravolte, i rischi, le rotazioni, gli scivolamenti degli alberi. Mi dicono del pericolo di questo mestiere. E delle difficoltà di cui, noi spettatori, non ci accorgiamo.





Cadono le due crocce e i bambini si precipitano sui listelli. Nuove generazione per le feste fra venti anni.








Le magliette dei ragazzi della Cima sono biancheria appesa ai fili. Quest’anno sono state premiate.

Le pietre ora devono essere sistemate con cura. Pasquale mi dice: ‘Smetti di guardare, lavora’. Bisogna tirar su le pietre piatte. Le altre, quelle tondeggianti, ‘scappano via’. Bisogna chiudere una sorta di muraglia a sigillare la fossa da dietro. Sudore sotto il caldo da estate. C’è da rimettere i bandoni. Convincerli, con le buone o le cattive, a incastrarsi uno nell’altro. Ultimo bang, sbarabang, urlo di metallo. Un salto a piedi uniti per l’ultima chiusura. Si toglie la scala. Si rimette a posto la ringhiera della piazza. Si chiude la porta del magazzino. Tutto come era prima della domenica di Pentecoste. ‘Servizio compiuto’, dice Franchino. E ora?
‘Non è successo niente’.
Al magazzino, hanno cucinato la pasta e la pecora. Ci sono i dolci e il cocomero. C’è il vecchio Virgilio che un tempo era forte. Non c’è nemmeno una donna (una c’è, ma ha dato mano con i pentoloni, non si è mai seduta), pranzo per soli uomini. Ci sono due ragazzini eccitati di essere fra i grandi: ‘Fra dieci anni saliranno il Maggio’. C’è chi si sposerà questa estate ed è andato a provarsi il vestito. C’è chi si scambia promesse per l’estate: andare a mangiare il pesce al 48, là a Pisticci. E chi alla fine: ‘Andiamo a prendere il caffè e l’amaro?’. Ed è già tempo di nostalgie e impegni per il prossimo anno. Sono matti ad Accettura. Siamo matti.
Accettura, domenica del Corpus Domini, 22 di giugno, Lucania, montagne del Sud-Est italiano
Da consegnare alla Storia.
Già, la Storia. Piccola storia, capace di essere grande.
Non so se avremo mai un’altra occasione per entrare in un rito arboreo. Siamo partiti da Matera quando il sole era già alto e abbiamo pensato a voi al bivio per Accettura. Grazie per le foto e per il reportage, mi sa che rileggerò il Ramo d’oro quest’estate.
Buona notte di San Giovanni!
Che sorpresa, Simona. Cercherò di non perdervi, voi fate altrettante. Troppe coincidenze. E quel/questo Messico…e davvero ho sempre sperato di saperne di più di antropologie…dovrete aiutarmi. Fra Matera, Messinca, Oaxaca e le terre di Firenze/Siena.