Andrea Semplici
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Etiopia/Da molto tempo non passo più a trovare Madame Kiki

Madame Kiki
Madame Kiki

Alla fine, accade. Credi che gli incontri siano possibilità immutabili. Sono sempre sceso nel Rift con la sola ragione di passare da Awash. Dalla città di Awash. Dal buffet di Awash. Volevo tornare da madame Kiki. Sceglievo la strada più monotona e lunga per andare in Dancalia solo per questa ragione: sedermi per qualche ora al buffet della stazione ferroviara (chiusa, non vi passano più treni da anni) di Awash. Vi ero capitato mille anni fa e ne ho sempre conservato un ricordo di bellezza. Perché è un luogo inatteso. Perché ti raccontano storie e non ti importa che siano vere o no. Perché c’è la leggenda di madame Kiki. E allora ti senti in un film. Attore principale, Armonica che finalmente ritorna a trovare Claudia Cardinale nella sua stazione. Torni e ritorni. Solo per ‘rivivere’. Per la certezza di ritrovare. Una storia di nostalgia e piccole felicità. Era rassicurante il buffet di Awash. Scrivo Awash, ma dovrei scrivere Aouache, perché qui si usa ancora la lingua francese. La ferrovia fra Gibuti e Addis Abeba è una storia francese, ‘le Chemin de fer Dijbouti-Addis Abeba’. Solo in questa contemporaneità anche la lingua sta cambiando, gli ideogrammi cinesi sono già al posto degli alfabeti occidentali. Da qui si avverte la rotta del mondo. La modernità ha la tecnologia inelegante di Pechino. Parleranno cinese i nuovi ferrovieri dell’Etiopia?

Gli anni scorrono, i cinesi hanno conquistato chilometri e commesse da miliardi. La nuova ferrovia è opera da titani imprevisti, scavano tunnel e si fanno beffe delle montagne (credono di farsi beffe):  eppure bastava guardarsi attorno: gli italiani hanno perso la corsa ai binari di questa Africa, niente potevano contro il figli del comunismo maoista. E alla fine madame Kiki, a 84 anni, ha deciso che era tempo di andarsene. Come se non ci fosse più posto per il vecchio buffet. E’ il passato. E non c’era modo di salutare tutti coloro che sono passati di qui. Credo che avrebbe voluto farlo. E allora accade che l’incontro, il tempo di un pranzo, di un saluto, di uno stare in silenzio a guardare il suo giardino o ad ascoltare i tarli che rodono i legni del suo buffet, non possa più avvenire. Non ho più dormito nella stanza che ospitò il negus. Non ho più fatto il bagno in una vasca con le zampette da leone.

So che questo accadrà ancora. Un giorno non troverò più gli uomini e le donne che hanno costruito la mia geografia personale della Dancalia. Un giorno sarò io a non tornare.

Mi piacerebbe sapere il greco per poter salutare madame Kiki come si deve in una lingua di una terra per lei sconosciuta. Io spero che ci che Hailè Selassiè e Yanis siano andati a incontrarla, assieme alla gente afar e kereyu, mentre, in treno, viaggiava verso di loro. Questa volta il pranzo glielo hanno preparato loro.

 

Il buffet di Aouache
Il buffet di Aouache

Madame Kiki, il buffet d’Aouache (mi piace il tempo presente di queste parole scritte anni fa)

Madame Kiki arrivò ad Aouache nel 1949. Le guerre erano passate come un tornado sull’Europa. In questa Africa erano finite da un pezzo, l’arrogante impero italiano si era squagliato in appena sette mesi. Erano già passati otto anni da quando, in groppa a un cavallo bianco, Hailè Selassié, il re dei re, era rientrato ad Addis Abeba. Tu sei figlia dell’Egeo. Isole poverissime allora. I tuoi nonni, Kiki, erano fuggiti dalla miseria ai primi del ‘900. Scappavano da una terra che non dava speranza al futuro. Centinaia e centinaia di contadini greci talmente poveri da non poter affrontare nemmeno il viaggio verso le Americhe, furono trasportati fino agli altopiani dell’Etiopia. Migranti verso l’Africa nel girotondo della storia. Erano necessarie braccia per costruire la ferrovia fra Addis Abeba e Gibuti. Come si sbagliano i poveri. Chi ha avuto ragione, Kiki? Chi è rimasto su quegli scogli mediterranei a zappare fra i sassi o chi, nave dopo nave, convoglio dopo convoglio, strappo dopo strappo, è arrivato fin nel cuore dell’Africa? Non hai mai visto l’isola delle tue origini, Kiki. Non hai mai visto cosa sono oggi quelle terre. Com’era Aouache nel 1949?

E’ bene sapere che lungo i binari della ferrovia Addis Abeba-Gibuti si parla ancor oggi francese. Awash diventa Aouache. Se telefonate alla stazione di Addis, vi risponderanno con un gentile e tintinnante bon jour. Furono i francesi, in un’epopea di intrighi e di avidità coloniali, a costruire la ferrovia fra la capitale dell’Etiopia e le lontanissime coste del mar Rosso. I treni arrivarono ad Addis Abeba solo nel 1917, venti anni dopo la posa della prima pietra a Gibuti: fu una storia immane, i binari dovevano scorrere nei deserti fra i più inospitali della Terra e le locomotive a vapore scalare montagne. La ferrovia non poteva che seguire il grande corridoio del Rift. E’ dai tempi di Lucy, il primo ominide, che la Rift Valley disegna i cammini di chi si avventura in questo oriente africano. (Già, i cinesi recidono i legami con la preistoria: la loro ferrovia ripercorrerà, sì, la Rift Valley, ma affronterà anche le montagne, le perforerà, le taglierà. I cinesi cambiano l’immutabile).

Madame Kiki
Madame Kiki

 

Un secolo fa (appena un secolo fa), imbrogli diplomatici, guerre di nervi e guerre reali, imboscate politiche e azzardi finanziari costellarono l’avanzata della ferrovia africana. Alla fine, l’impossibile divenne realtà: traversine di ferro, capaci di resistere alle termiti, consentirono l’arrampicata dei treni lungo la scarpata delle montagne etiopiche. 785 chilometri, 22 tunnel, 34 stazioni, un unico binario. E, oltre un secolo di vita colma di glorie e decadenze. Infiniti sono stati gli agguati dei banditi: come resistere alla tentazione di assalire un treno? Basta un masso sui binari per fermare il Treno dei Negus. Una vacca può farlo deragliare. Grande storia. La lingua francese è rimasta, fino ai nostri giorni, come un sigillo della potenza coloniale che finanziò l’impresa. Per decenni, chi voleva diventare un ferroviere doveva saper parlare il francese.

Ad Aouache, frontiera dei territori afar, passaggio obbligato dei binari, sorse una vera città ferroviaria. Un avamposto da Far West. Una terra senza legge. Oltre era solo il deserto, i climi torridi, la ferocia dei paesaggi. Banditi e disperati, contadini senza terra e avventurieri dell’Africa, operai e pastori kereyou avevano bisogno di un saloon dove annegare le loro ore: per questo, la Compagnie de Chemin de Fer favorì la costruzione di un buffet. Nel 1904, questo locale già esisteva. E qui, nel 1928, si fermò Ludovico Nesbitt, il primo esploratore ad attraversare (e a scrivere della sua impresa) la Dancalia da Sud a Nord: Aouache fu la prima, comoda tappa di quel viaggio straordinario.

Il buffet di Aouache
Il buffet di Aouache

Qui si fermavano i treni, c’era acqua per le caldaie delle locomotive e cibo per i macchinisti, per gli operai e per i passeggeri. ‘C’era una volta l’Etiopia’, insomma. Nel 1949, un greco coraggioso, Yanis, vi approdò dopo una battuta di caccia. Si guardò attorno. Intuì l’affare. Adocchiò i terreni a ridosso della ferrovia, seppe dei pozzi d’acqua. Quella savana gli piaceva, era la sua Africa. Pochi mesi dopo tornò ad Aouache con la sua bellissima e giovane moglie. Il passaggio della donna non lasciò indifferenti: si racconta che i kereyou e gli afar ebbero un’altra ragione di sfide e duelli; ogni sera, dopo essersi bagnati nelle acque calde di Filowha, si rileccavano con burro rancido fra i capelli pur di essere splendenti ed apparire, all’alba, di fronte a quella donna bianca. Si sparavano addosso pur di essere i primi a poter ammirare il profilo di quella giovane che sembrava bearsi del paesaggio di savane attorno a lei. A notte, feriti e malconci di tanto combattersi, ripensavano in silenzio a quella donna. Cominciò così il regno di madame Kiki, la Signora della Ferrovia, la donna greca del Rift.

Yanis divenne un cacciatore celebre. Uno scout conteso dai ras di Addis Abeba. Ingaggiò sfide personali con i leoni che ancora si spingevano in queste terre. Era un uomo brusco e intelligente. Lasciò che Kiki si occupasse del buffet. E lei ne fece un giardino di rigoglio tropicale, piantò alberi, costruì verande, progettò sale da pranzo dal sapore di antica locanda, arredò camere spartane e nobiliari. Trasformò un locale da ultima frontiera in un rifugio di pace. Perfino i banditi rispettarono questa complessa casa in legno che sembrava crescere giorno dopo giorno.

Dovete immaginarlo questo posto: la città è cresciuta sgangherata attorno a quei binari, il buffet è sulla banchina. Oltre le sue mura, vi era solo la savana. Quando arrivavano i treni, un formicolio di persone si risvegliava e affollava il marciapiede di fronte al buffet. Madame Kiki lasciava otri colme d’acqua per la gente. Grandi serbatoi aerei rifornivano la locomotiva. Oggi sono carcasse arrugginite. Sacchetti di plastica laceri volano ovunque. Anche le acacie della savana sono svanite, la terra è diventata polvere. La gente di Aouache non ha fatto altro che tagliare legna qua attorno. Ma l’oasi del buffet è ancora un miracolo. Luogo di resistenze e malinconie. Un sollievo per i viandanti come noi e per i più vecchi fra i pastori kereyou che ancora ricordano gli anni della bellezza.

Madama Kiki
Madama Kiki

 

Kiki insegnò ai cuochi i segreti della cucina greca e italiana. Il buffet d’Aouache divenne una leggenda. All’alba i treni partivano da Addis Abeba, madame Kiki telegrafava il menù al capoconvoglio, venivano raccolte le ordinazioni e i passeggeri cominciavano a sognarsi i piatti non appena i vagoni si mettevano in cammino verso il Rift. All’ora di pranzo, il treno si fermava davanti al buffet. La gente della prima classe scendeva, allegra e impolverata, verso le tavole imbandite. Gli altri, avvolti in shamma ingrigiti dal fumo, si sfamavano nelle baracchette che erano sorte attorno alla stazione. Si dissetavano dalle otri di argilla.

Amo questo posto. Mi accerchia con la sua dolcezza. Mi impigrisce. La prima volta che vi arrivai non riuscivo a staccare le mani dai legni consumati del bancone del bar. Ero solo. L’autista volle andare in cerca di donne e mi lasciò nella veranda. Madame Kiki apparve silenziosa e mi guidò verso una camera speciale. ‘Qui dormiva sempre Hailè Selassié quando si fermava da noi’, mi disse mentre apriva la porta. La stanza aveva una veranda privata, era rialzata rispetto al giardino, il letto era diventato una specie di amaca, la vasca da bagno aveva piedini da leone, ma non c’era acqua. La luce del comodino si rifletteva su un telo rossastro. Fu una bella notte. Senza sogni. Kiki andò a letto presto. Fu uno dei suoi ragazzi a raccontarmi la sua storia. Credo che non ne sapesse davvero niente, usò le stesse parole che avevo sentito ad Addis Abeba, forse erano solo travisamenti, ma fu piacevole ascoltare il suo racconto.

Sì, madame Kiki è ancora qui. Appare sul confine di una porta. Osserva le sue piante. Indossa una sorta di tunica verde. Ha le mani conserte. Ne riconosco il profilo tagliato con nettezza. Gli occhi sono truccati. E’ senza tempo. Sono certo che sta ascoltando il canto degli uccelli. Ha la pelle di pergamena di chi ha passato gli anni al sole di queste savane. Ha gli occhi di chi ha visto molto e molto, forse, vorrebbe dimenticare. O, all’opposto, vorrebbe ricordare ogni ora passata in questa terra. Yanis è morto da molti anni. Il figlio continua ad andare a caccia di facoceri, ha costruito un lodge nella savana. Lei, ora, è dolcemente appoggiata allo stipite di una porta. Saluta con un cenno, piega la testa, dice il suo buon giorno in un italiano felice. Non si muove. Guarda oltre la veranda. Io faccio una cosa strana. Forse non è strana. Mi alzo, passo davanti a Kiki, inchino leggermente la testa. Per un attimo incrocio i suoi occhi. Lei porta la mano al cuore.

 

 

 

6 pensieri riguardo “Etiopia/Da molto tempo non passo più a trovare Madame Kiki

  • Ho appena letto le prime trenta pagine del libro “Dancalia” e accendendo il computer mi ritrovo a cercare su google notizie sul buffet di M.me Kiki, le foto e la sua storia dopo il 2010 (anno di pubblicazione del libro). M.me Kiki se ne è andata ma la sua storia rimane bellissima.

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    • Andrea Semplici

      Ciao, Duccio…sì, la storia di madame Kiki è leggendaria. Adesso ad Aouche c’è la figlia che non potrà avere la stessa leggenda, ma che forse riuscirà a tenere in piedi il buffet. Grazie per le tue parole

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  • Ho letto con attenzione la descrizione di Aouche, città ferroviaria. Mi permetto di chiederle informazioni sulla Aouache ai tempi dell’occupazione italiana (1936-1941). Ci sono testi, documenti, fotografie? Com’era la città di Aouache con un consistente distaccamento di camicie nere? Ci sono memorie di quel periodo nella Aouache di oggi?
    La ringrazio

    Pompeo Volpe

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    • Andrea Semplici

      Gentile Pompeo, non posso aiutarla molto. La ‘mia’ storia di Aouache comincia con i racconti di Madame Kiki attorno al suo buffet. Kiki arrivò in questa città ferroviaria nel 1949. E ricostruì con il marito il buffet. Certamente alla fine degli anni ’20, prima dell’occupazione italiana, vi passarono Ludovico Nesbitt e i suoi compagni diretti in Dancalia (vedi ‘La Dancalia Esplorata’). Oggi la stazione è in abbandono, sarà ignorata dal percorso della nuova ferrovia, ma il buffet vi è ancora ed è gestito dalla figlia di madame Kiki. Aouche è stata la stazione più importante della ferrovia fra Addis Abeba e Dire Dawa. Vi sono costruzioni che hanno l’aria di risalire al tempo ‘degli italiani’. Le consiglio di scrivere ad Alberto Vascon (al.vascon@libero.it, ha creato un sito http://www.ilcornodafrica.it ) che è molto più attento di me su questi temi. La ringrazio per la sua attenzione e cortesia.

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  • Michele Paba

    grazie Andrea per il bellissimo racconto. vivio in etiopia da quasi 9 anni e sono passato diverse volte da madam kiki. non so perche’ non ho mai dormito nella sala dove alloggio’ l’imperatore. non so perche’… ho pranzato e cenato con madam kiki seduta a capotavola che ci raccontava le sue storie…sempre un’atmosfera speciale.
    mi dispiace sapere che non c’e’ piu’…
    saluti

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    • Andrea Semplici

      Ciao, Michele, che peccato non esserci incontrati, sono stato tre mesi in Etiopia, tornerò l’anno prossimo. Anche quest’anno e senza Kiki sono tornato al buffet e ho dormito nella ‘mia’ stanza…ora c’è Spiro (il nome è molto più lungo), la figlia, non è la stessa storia, non può esserla, ma il buffet lì sta e per me è nostalgia. Lascia tracce, magari riusciamo a trovarci…

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