La prima notte di Sheick Hussein

C’è una rotonda all’ingresso di Dirree Sheick Hussein. Ti sorprende dopo centinaia di chilometri di savana dalla terra rossa. Anche la rotonda è un cerchio di terra rossa. Un’acacia al centro. L’ingresso a Sheick Hussein è moderno. E’ un’illusione.

Non c’è elettricità, ma un grande ripetitore tv va a solare. Una sola casa ha un generatore (e una colossale parabola). Non c’è acqua corrente. Le donne vanno alla fossa dell’acqua santa dietro il santuario del vecchio sceicco. Spostano uno spessore di alghe, i bambini bevono e loro riempiono le taniche. Bisogna togliersi le scarpe per raggiungere questa riserva e scavalcare il recinto sacro.

Non c’è una sola macchina a Sheick Hussein. Quattromila abitanti e una sola motocicletta. Due volte a settimana, nei giorni di mercato, una corriera parte all’alba per Jarra, la cittadina più vicina. Torna qui a notte, con musica sufi a tutto volume.

Non è come ho scritto mille anni fa (e del resto non ero venuto fino a qua allora, avevo immaginato…). Il santuario più sacro dell’islam sufi d’Etiopia non domina la scena. Non è un lampo che avvisti da lontano. Ma è vero: è una qubba, una cupola incantata, pura e bianca di calce, una sorta di pandizucchero accecante che sorge, improvviso, dalla terra rossa e da una vegetazione spinosa. E’ bellissima. Immacolata. E sfugge a qualsiasi definizione. E’ fuori gamma per un esposimetro. Non appartiene a questa terra. E’ un santuario che si è costruito. Con il passaggio dei pellegrini. I loro piedi e le loro mani hanno creato un’architettura translucida. Bisogna contorcersi per entrare nella tomba venerata di questo sceicco mistico. Bisogna farsi male ai nostri piedi occidentali calpestando le spine del cran-cran. Bisogna credere a Sheick Hussein. E’ abbagliante, il santuario. Ci ruotiamo attorno, ci pieghiamo in atto di omaggio, camminiamo al buio, ci inginocchiamo a terra. Dobbiamo passare la mano fra i sassolini del pavimento. Jawara chiamano la terra attorno alla tomba. Terra santa perché protegge un corpo sacro. La mia mano ora ha argilla fra le dita. Lecco il palmo, sulla lingua il sapore acido della terra. Poi, questa fanghiglia va spalmata sulla fronte, sul naso, sulle guance, sul collo. Ecco, siamo santificati.

Acqua, cenere e terra, dove ho già visto questo rituale? Questa fede fisica? Un giovane musulmano mi aveva messo sull’avviso ad Addis Abeba: ‘A Sheick Hussein conoscerai il vero sufismo’. La terra è cenere, è pietra bruciata. Ho la fronte colorata di polvere. Ne vado orgoglioso. Dove ho già visto tutto questo? A Lalibela, certo. I cristiani d’Etiopia che bevono l’acqua sacra, si colorano la fronte di cenere, mangiano la terra che proviene dalla tomba del re-santo, simbolo del sepolcro di Cristo. Islam e cristianesimo trovano il loro contatto nella rituale dei gesti, dei movimenti, nella materia. Dio viene venerato nella stessa materia. Allah ama il cammino in cerchio attorno alle pietre. L’acqua Zamzam alla Mecca, l’acqua della pozza Haroo Lukku a Sheick Hussein. L’acqua di Lalibela.

Nella notte, dalla moschea nascosta fra le case di pietra di Sheick Hussein (il paese è un labirinto rurale, appare e scompare, si mostra e si maschera, alcune case sono dipinte con belle geometrie, una foresta di fichi d’India arborei le accerchia), canti di uomini, ritmi incessanti e dolcissimi, nenie di voci leggere, gracchio di megafoni, clap-clap di legni che battono assieme. Come vorrei capire le parole. Notte di Mawled, celebrazione di Maometto.

(Un’altra somiglianza con Lalibela: Sheick Hussein non è gratuita per gli stranieri. Si campeggia attorno alla palazzina vuota dell’ufficio turistico, progetto di sviluppo, immagino. Dentro ci sono quattro sedie, un tavolino di vetro, un registro degli ospiti dove se ne contano solo tre nel 2014 e stanzette deserte. Qualche otre rancida dietro una porta. Si paga cinquecento birr per dormire in un terreno di aloe e sassi. Cinquecento birr a gruppo, a quanto mi spiegano. Anche se sei da solo. Duecento birr per un guardiano. Duecento per una guida. Soldi che vanno al notabile del paese. I luoghi santi sono anche un agguato, un business, un movimento altrimenti impossibile di denaro. Noi, turisti, lo avvertiamo come una ingiustizia. Trattiamo sul prezzo della seconda notte)
