Granada, Nicaragua/’Que se rinda tu madre’

A Dirià, il giovane poeta salvadoregno Eleazar Rivera legge una poesia per Oscar Romero, ucciso sull’altare trentacinque anni fa. Il Papa latinoamericano ha deciso che il vescovo Oscar sia santo. Mi spiega Eleazar: ‘Un santo universale. La borghesia si sbagliò su di lui. Credeva di avere un alleato e un complice. Ma quest’uomo, conservatore e rigido, a un certo punto della sua vita, non chiuse gli occhi verso l’ingiustizia e scelse i poveri’. Alzava il calice quando gli spararono in faccia. La sua ultima parola fu ‘sangre’. E ora Eleazar, in un piccolo paese delle mesetas nicaraguensi, di fronte a ragazzini delle scuola nella loro divisa, legge ‘La geografia della rosa’ per il San Romero de America.

Eccola:
Una bala apagò tu voz; ma no el eco de tus palabras
Tus homilias, semilla germinada; acordes de una sinfonia
Inconclusa; penumbra de un sol menguante
Tu verbo creciò en la ribera del hambre; floreciò en los
Inviernos sin abrigo y se volviò luz en la patria de los
sombreros
Tus palabras palpitan y siguen sangrando en la geografia
de la rosa.

Al quarto giorno, i poeti del Festival di Granada, viaggiano. Verso i villaggi e le città del Nicaragua. Gita in bus. Pochi chilometri, il paese è piccolo. Io vado a Dirià, il paese ‘più sano’ del mondo, mi dice Carlos. Lo guardo incerto: ‘E’ bello vivere qui. E’ la pace perfetta. Non c’è insicurezza’. Già, qua tutti parlano della ‘sicurezza’.

C’è una laguna dentro un vulcano a Dirià. C’è un sindaco con l’aria da sindaco. Un presbitero tranquillo e tosto. C’è la chiesa di San Pedro con il campanile che aspetta il prossimo terremoto e allora lo hanno costruito a buona distanza dall’edificio principale. C’è un san Sebastiano coloniale e una ragazza che studia sotto la statua di san Antonio. C’è il cacicco indigeno che resistette agli spagnoli.


Ci aspetta la banda nella piazza del paese. Un colossale subsafono e le trombe e i tamburi. Dice Franklin, poeta nicaraguense: ‘Qui i poeti sono come i santi, vengono portati in processione come se fosse la Settimana Santa’.

Grande bassorilievo. Nicaragua cristiana, socialista e solidaria, slogan del governo. Gioco di simboli e potere. In una terra sempre contesa. Dietro le parole, c’è un’aspra sfida. Le parole hanno troppi significati.

Storia di paese. Saluto Juanijet Delgado. Un affresco nella sua casa minuscola mi portato nella prima stanza. Un Cristo implorante occupa il muro di legno che divide l’ingresso dalla sua camera. Ma il ‘punctum, è la scimmietta in alto. Sono sempre disattento, me ne sono accorto dopo aver scattato questa foto.

Ascolto il prete, Roberto Ramos, dire: ‘La poesia, a volte, è la libera espressione della nostra ribellione, è arma di giustizia per difendere coloro che attaccano la nostra dignità, la nostra libertà, i nostri diritti inalienabili. Con la poesia difendiamo la nostra patria. E’ il grido libertario del nostro essere’. Lo dice con voce tranquilla. In una sala immensa, dalla luce splendente. Come vorrei stare qui a lungo, in una terra dove le finestre non hanno vetri. E il vento ti regala un piacere imprevisto.

Franklin mi avverte: ‘Fai attenzione, in Nicaragua tutti scrivo poesie, ma nessuno legge. Si vendono solo i libri di Ruben Darìo e di Ernesto Cardenal. Perché sono leggende. Non possono esserci tanti poeti in un paese’.

A sera guardo piazza dell’Indipendencia riempirsi di gente. Ragazzini di strada, ragazze gioiose, vecchi che si appoggiano ai bastoni, giovani donne, gente in carrozzella, venditrici di pollo fritto e tostones felici per gli affari che si moltiplicano. La gente irrompe sotto il palco. Prima ci sono i poeti. Che, capita anche questo, recitano in sloveno e finlandese. E la piazza applaude. Poi i cantautori, i settanta anni di Luis Enrique Mejìa Godoy e il fratello Carlos. Uno vestito di bianco immacolato, l’altro di nero. La piazza sbanda di commozione.



‘Que se rinda tu madre’, Luis grida alla piazza lo stesso urlo di Leonel Rugama in risposta ai soldati che assediavano la sua casa nel 1970. Rivoluzionario sandinista Leonel morì a 21 anni. Era un poeta. Ed era stato in seminario. Preti o poeti, in questo paese. Leonel resistette per ore a un intero plotone della Guardia Nacional. Un altro poeta, Rigoberto Lòpez Perez, uccise, nel 1956, il tiranno Anastasio Somoza, il padre dell’ultimo dittatore del Nicaragua. Lui sparò cinque volte. I soldati lo crivellarono con 54 proiettili. Ma era troppo tardi. La poesia, quel giorno, aveva una pistola in mano.

La piazza di Granada risponde al grido del poeta-cantante. Cosa è la poesia, in questa terra?
Molto bene, un posto nuovo al sole senza enfasi ma con l’attenzione che merita un mondo
spesso ai margini di qualsiasi attenzione perchè non fa storia. La voce però è un coro
che sgorga da una gola indolenzita per il vento che rimbalza fra quei paesaggi pieni
di solitudini in corsa.
Ciao, Gloria….grazie….cercheremo di vincere anche questa affollata solitudine