Asalech, Ahmed e papa Francesco/Mani che pregano

La preghiera di Asalech, donna di Addis Abeba, sono le sue mani. Per incontrare Dio, nel momento in cui, al pranzo del sabato, invoca, per noi, il suo nome, Asalech guarda verso il cielo. E il palmo delle sue mani è rivolto in alto. Quasi una richiesta, un segno di resa, un omaggio, una venerazione. Le mani sono la preghiera. Ho pensato che, a questa maniera, si cullano i bambini. Asalech fa oscillare le mani, a volte le muove leggermente in su e in giù, ma in realtà cerca di far riposare un bambino sacro. Non perdo di vista le sue mani mentre cerco di pregare assieme a lei.

Mi accade la stessa cosa con il vecchio Ahmed. Il suo Dio è Allah. In Palestina, molto tempo fa, mi ha accolto nella moschea. Non so dove abbia casa. Non so se ha casa. Sono tornato altre volte e l’ho sempre incontrato qui. Disteso o seduto fra cuscini, un materasso e il leggio con sopra, aperto, il Libro sacro. Quando mi scorge da lontano, si alza e viene a salutarmi. Mi invita a entrare. E, dopo qualche silenzio, recita per me una sura del Corano. Anche le sue mani guardano verso il cielo. Questa volta lo imito. Lui ne muove solo una, come a sollecitare Allah ad ascoltare la sua preghiera e a proteggere il mio viaggio. Le mani di Ahmed sono carta vetrata. Una volta mi raccontò di aver fatto il contadino e di avere dodici figli. Alla fine della preghiera, alza queste mani sopra la testa. L’ultima invocazione.
Tredicimila anni fa, nel Cono Sud di quel continente che oggi chiamiamo Latinoamerica, gli antenati del popolo Tehuelche impressero migliaia di mani sulle pareti di una grotta che, noi, contemporanei, non potevamo che ribattezzare Cueva de las manos. Questo è uno dei cuori della Patagonia: il rio Pinturas aggira un monolite di roccia, ha scavato questo rifugio di gente della protostoria e fa da scenografia a questo luogo formidabile. Sono mani sinistre, mani in negativo, realizzate con pitture minerali. Per quattromila anni, uomini sconosciuti hanno disegnato mani sulle pareti di questa grotta.
Invocazioni a divinità sconosciute? Grido di un popolo? Rito di iniziazione verso l’età adulta? Fra le mani appaiono immagini del sole e degli animali delle steppe patagoniche. Vita quotidiana, implorazioni al soprannaturale. La grotta, ci piace pensare, era il sacro di un tempo lontano da noi. Le mani come strumento di passaggio dall’umano al divino.

La fede è fisica. A Matera, nel giorno della festa della Santissima Maria della Bruna, due luglio, giorno santo, il più importante dell’anno per gli abitanti della città lucana, migliaia di uomini e donne si avvicinano alla piccola statua di questa Madonna e al Bambino. Le mani ne toccano le vesti, ne sfiorano i piedi, ne accarezzano il corpo di legno. E’ un gesto di istinto, ripetuto da sempre. Un movimento rallentato che diventa rapido quando la stessa mano viene poi portata alla bocca e baciata. E, infine, ricondotta agli abiti di Maria. Le mani significano. Ho visto ripetersi questo gesto migliaia e migliaia di volte. E ho scattato, per migliaia di volte, la stessa fotografia. Cosa cercavo? Una diversità che non esisteva. Le mani, a volte, sono esitanti, timide, hanno una incerte iniziale, ma cercano tutte la stessa spiritualità in qualcosa che è tangibile. Che può essere toccato.

Le mani del popolo ebreo sul kotel, il Muro del Pianto di Gerusalemme. Le mani di uomo vestito con gli abiti neri di chassadin. Le mani di un soldato con il fucile a tracolla. Le mani di un giovane appena uscito dall’ufficio. Mani decise, appoggiate con forza, il tentativo di assorbire la memoria di una storia sacra. E dall’altra parte, appena dall’altra parte, le mani dei vecchi palestinesi che si poggiano a terra nella preghiera di ogni giorno e cercano di afferrare la santità della ‘moschea lontana’. Le mani dei ragazzi che sono pronte a impugnare sassi contro i soldati di Israele. Le mani che pregano per una Palestina libera. Le mani un uomo di Gerusalemme vestito con giacca e cravatta, un accenno di callo in fronte come ha chi ha molto pregato. Mani che non si incrociano da lato all’altro del Muro sacro. Se avessero il coraggio di farlo potrebbero anche scoprire di avere le stesse rughe, le stesse cicatrici, le stesse dita, le stesse ferite. Hanno cullato gli stessi bambini, salutato e accarezzato con la stessa bellezza. Mani che hanno pregato e pregano alla stessa maniera. Potrebbero scoprirsi simili.
Papa Francesco, con un gesto uguale a quello compiuto da un ebreo al Muro del Pianto, ha appoggiato la sua mano al Muro di Separazione.