Etiopiche/I pellegrini di Sheick Hussein

Sheick Hussein, il santuario bianco. Immacolato di calce. Splende sotto il sole nella savana dei grandi pianori dell’Oriente etiopico. Questa è terra di confine fra l’Arsi e i Bale, regioni musulmane. La qubba, la cupola, ridipinta per le grandi feste, è abbagliante. E’ fuori gamma per gli esposimetri delle macchine fotografiche. Luogo santo dell’Islam etiopico. Luogo dei sufi d’Africa. E’ la Piccola Mecca. ‘Per molti musulmani di Etiopia, Sheick Hussein è il Pellegrinaggio – spiega Teshome Berhanu Kemal, studioso dell’Islam dell’Africa orientale – Sono certi di assolvere l’obbligo del viaggio alla Mecca, andando a pregare sulla tomba di questo grande uomo saggio. Per secolo Mecca è stata lontana, troppo lontana dall’Etiopia: i fedeli non potevano raggiungerla. C’erano guerre in questa terra. E allora si veniva a venerare la tomba di Sheick Hussein’. In fondo anche Maometto era stato qui: venne a visitare il suo discepolo, questo sceicco leggendario che stava predicando la nuova religione in Africa. Non ha importanze se le date non tornato e se lo sceicco dovrebbe essere vissuto attorno all’anno Mille, il Profeta arrivò dalla penisola arabica percorrendo un lungo tunnel sotterraneo. Sheick Hussein e Maometto pregarono assieme in una grotta eremitica. ‘Bisogna crederci – dice ancora Teshome – L’Islam è una fede di sogni come il cristianesimo. Le leggende sono più reali della realtà’.

Sheick Hussein è un villaggio lontano e disperso (e se, invece, fosse il centro del mondo?). Ore di fuoristrada dalle strade principali dell’Etiopia. Non c’è una sola macchina. Quattromila abitanti e una motocicletta. Due volte a settimana, nei giorni di mercato, una corriera parte all’alba per Jarra, la cittadina più vicina. Non c’è elettricità, una sola casa ha un generatore (e una colossale parabola). Si cucina con la legna delle acacie. Non c’è acqua corrente. Le donne vanno con le taniche gialle sulla schiena alla fossa dell’acqua santa nel recinto del santuario allo Sceicco. Bisogna togliersi le scarpe per raggiungere questo stagno, poi rimuovere uno strato di alghe per poter bere e riempire le taniche. E’ acqua sacra. Svolge la stessa ritualità dell’acqua zamzam alla Mecca.

Giorno di Mawled. Anniversario di Maometto. Tre volte all’anno, i pellegrini viaggiano verso Sheick Hussein. Tre volte all’anno i fedeli si ritrovano fra gli antichi pilastri della moschea di Zuqxum. La più antica del villaggio. A leggere vecchie cronache, il suo nome significa: ‘Luogo degli studenti’. Questo villaggio ospita scuole coraniche, saggezze rurali del mondo sufi. Molti pellegrini impugnano un bastone strano e sottile, biforcuto e inutile. Ha la forma delle corna di uno stambecco. E’ conosciuto come oulle sheick hussein, segno e simbolo degli uomini ossessionati dal culto dello sceicco, prova della loro fede immensa.

Al mattino, piccoli gruppi di uomini arrivano dalle campagne. Portano grandi cesti, i mosob della tradizione etiopica, Le donne non possono entrare nella moschea. Ci si siede a cerchi. Di fianco uno all’altro, spalla contro spalla. I più vecchi cantano, intonano nenie da trance, recitano, ondeggiano. E’ lo dhikz, preghiera mistica. E’ grande teatro religioso. Ad Addis Abeba un giovane musulmano mi aveva detto: ‘Conoscerai il vero sufismo’. Aveva ragione. Si sollevano i coperchi dei mosob. Vi sono grandi piatti collettivi: porridge di orzo con burro chiarificato. Vi affondiamo le mani, ci porgiamo il cibo di bocca in bocca.

Usciamo dalla penombra della moschea. Andiamo all’aperto. All’ombra di un grande sicomoro. Albero spirituale. Albero del ringraziamento per i doni di Dio. I vecchi leggono sura, si canta, si prega, si rivolgono le mani al cielo, si raccontano le storie dello sceicco. Ci sono uomini vestiti con gli abiti della festa e straccioni dai pantaloni laceri. Si brucia incenso. Arrivano, festosi, i ragazzi delle scuole coraniche. Hanno foglietti scritti in arabo e un megafono. Recitano, gridano le lodi di Sheick Hussein. E’ quasi una gara. Un vecchio invita all’applauso. Si raccolgono e si distribuiscono soldi. Arrivano contenitori colmi di miele. E’ festa tranquilla, benedetta, felice.

Sorprendente Islam d’Etiopia. A leggere il censimento del 2007, i musulmani sono almeno 25 milioni, il 34% della popolazione etiopica. Dato bugiardo, secondo alcune autorità islamiche: ‘Siamo almeno la metà del paese’, protestano. Sono musulmani i somali, gli afar, gli argobba, gli harari, gran parte degli oromo. Certamente sottorappresentati nel governo. Ma l’Islam ha già scalato le altitudini dell’altopiano etiopico, terra cristiana. L’uomo più ricco d’Etiopia, Mohammed Hussein al-Amoudi (non solo: è il quinto uomo più ricco nel mondo arabo, fra i venti uomini più potenti d’Africa, l’uomo dalla pelle nera con più soldi, il 64esimo fra i miliardari della Terra), è musulmano, suo padre era saudita, ha il titolo di sceicco e ha fatto costruire una moschea accanto al suo Sheraton.

Ho visto musulmani e cristiani pregare assieme negli stessi luoghi. Ho visto musulmani recarsi in chiese cristiane e pellegrini cristiani camminare fino a santuari islamici. L’Islam di Etiopia è una fede di convivenza. Ma bisogna avere attenzione e preoccupazione per i rischi, gli scricchiolii, i cattivi segnali: dalla penisola arabica arriva denaro e predicatori di un islam conservatore. Nascono moschee wahhabite. Che mal sopportano le eresie dei sufi di Sheick Hussein. Mi raccontano che, in tempi recenti, hanno cercato di impedire con le armi, il pellegrinaggio al santuario. Due anni fa, il governo Etiopia ha arrestato leader islamici che considerava radicali e messo fuorilegge charities islamiche. Come appaiono lontane queste tensioni, mentre affondo le mie dita nel miele.

Lo sceicco Hussein, forse, è vissuto mille anni fa. Forse è arrivato dalla penisola arabica come predicatore. O, a leggere altre cronache, era nato in queste terre e, dopo studi religiosi, tornò in Etiopia per far conoscere la nuova fede. La sua tomba è nel cuore del santuario, protetta da una grande cupola. L’architettura di queste costruzioni è stata modellata dal passaggio di milioni di uomini e donne: mani e piedi hanno levigato la pietra, reso translucidi i pilastri. Bisogna contorcersi per entrare nel sepolcro. I fedeli ruotano attorno alla grande pietra, strusciano il corpo sulle basse colonne, si cammina al buio, ci si inginocchia a terra. Tutti passano la mano fra i sassolini del pavimento. Questa terra è sacra, è jawara, è argilla. Sfiora il corpo dello sceicco. I fedeli leccano il palmo impolverato della mano, sapore acido in bocca. Poi si sfregano il volto: segni umidi e grigi sulla fronte, sul naso, sulle guance. Come in un mercoledì delle ceneri. Hanno compiuto il rito della santificazione.

Terra bruciata che diventa cenere, acqua santa, alberi spirituali. L’Islam di Sheick Hussein, figlio delle conversione delle popolazioni oromo, è sincretico. Non dimentica la natura, i luoghi segreti, le grotte, gli antichi spiriti, le divinità dei boschi, delle montagne, delle solitudini. Se questo santuario è la replica della Mecca, la città santa di Lalibela, altopiani di Etiopia, è Gerusalemme Nera, la Gerusalemme d’Africa. Qui, come a Sheick Hussein, milioni di pellegrini vi arrivano camminando, sfiorano le pietre, pregano con le mani rivolte al cielo e la fronte a terra. I cristiani come i musulmani bevono acqua sacra, si riposano e pregano sotto alberi spirituali, si fregano il viso e la fronte con cenere, leccano e mangiano terra santa. Islam e cristianesimo trovano il loro comune cammino nella ritualità dei gesti, dei movimenti, nella materia.

A notte, per ore infinite, nei giorni santi, a Sheick Hussein e a Lalibela, suonano, ossessivi, i tamburi. La preghiera diventa dormiveglia. Le mani non si stancano. La voce è un ritmo che conduce al sogno e apre le porte dei cieli. Fra le basiliche di pietra dei cristiani come nella calce bianca dei santuari musulmani.

Un libro da leggere e guardare: le parole di Elisabeth Foch e le immagini di Paola Viesi. Due donne nel misticismo dell’Etiopia: ‘Ethiopie, le ferveur et la foi’ Actes du Sud, 2010. E’ un viaggio nel cristianesimo e nel sufismo etiopico.

(questo articolo è apparso sul numero di maggio di Nigrizia)
Grazie. Ancora una volta hai saputo scrivere, raccontare e fotografare come la mia anima avrebbe voluto.
Grazie, Marina. E’ che è facile quando un luogo e delle persone ‘ti prendono’