Andrea Semplici
In evidenza

Olimpiadi/Il silenzio di Vĕra

 

 

Le Olimpiadi, per la seconda volta nella loro storia, si svolgono in un paese latinoamericano. Nel 1968 gli atleti si erano ritrovati a Città del Messico. Furono Olimpiadi tumultuose. Destinate, come quanto avvenne in quell’anno, a segnare il futuro del mondo. E la sorte di alcuni uomini e donne coraggiose. Fra loro Vĕra Čáslavská.

 Nel 1968, alle Olimpiadi messicane, aveva 26 anni. Vĕra fu l’ultima ‘ginnasta-donna’. Dopo di lei cominciò l’epoca delle bambine, delle atlete ragazzine, con dubbi e sospetti sulla loro vera età, mandate a conquistare ori olimpici da federazioni ciniche e allenatori privi di scrupoli. Vĕra, in Messico, vinse quattro medaglie d’oro e due d’argento. Ancor oggi è la sola ginnasta ad aver vinto l’oro in tutte le specialità olimpiche individuali. Nei dieci anni della sua magnifica storia sportiva, Vĕra ha messo assieme ventidue titoli, ventidue medaglie del metallo più prezioso. Le Olimpiadi messicane sono passate alla storia per i pugni neri di Tommie Smith e John Carlos, per la solidarietà data ai due neri da un atleta bianco, l’australiano Peter Norman, per il salto stellare di Bob Beamon, per il salto in alto di schiena di Dick Fosbury. E per il massacro degli studenti a Plaza de Las tres Culturas, per la protesta dura degli atleti neri contro il razzismo negli Stati Uniti. Furono anche le Olimpiadi della bellezza e della protesta silenziosa di Vĕra, della perfetta meraviglia di questa ginnasta, del suo coraggio e della sua condanna. Il paese di Vĕra Čáslavská era la Cecoslovacchia, la vecchia Cecoslovacchia. Meno di due mesi prima dei giochi messicani, i carri armati sovietici avevano calpestato la voglia di libertà di Praga.

 

Da ragazzina, Vĕra voleva fare la pattinatrice. Aveva quindici anni. Fu Eva Bosáková, grande ginnasta, ad accorgersi della maestria di quella ragazza. Intuì che sarebbe stata capace di incrinare la supremazia assoluta delle atlete sovietiche. E lei vi riuscì: a Tokyo, nel 1964, Vĕra conquistò tre medaglie d’oro. Era il primo passo di una leggenda. E del suo destino crudele.

Nella notte fra il 20 e il 21 di agosto del 1968, la Primavera di Praga venne spenta dall’inverno violento dell’esercito di Mosca e dei paesi del Patto di Varsavia. Appare un’era lontanissima. E lo è. Vĕra, allora, era la donna più celebre della Cecoslovacchia. Negli ultimi quattro anni aveva vinto tutte le gare alle quali aveva partecipato. Nessuna era stata capace di sconfiggerla nelle acrobazie della ginnastica. La sua popolarità, in quegli anni, era pari a quella di Jaqueline Kennedy. E lei non si tirò indietro quando si trattò di sfidare anche il potere sovietico: fu fra coloro che, a giugno del 1968, il giorno dopo l’abolizione della censura, firmò il ‘Manifesto delle duemila parole’, redatto dallo scrittore Ludvik Vaculik, un accorato appello per una nuova democrazia e per la libertà.

I nuovi padroni di Praga, dopo l’invasione, arrestarono tutti coloro che si rifiutarono di ritirare quella firma. Il grande campione Emil Zatopek venne spedito a cavare uranio in miniera. Vĕra si rifugiò in un piccolo paese delle montagne della Moravia. Non si poteva imprigionare una leggenda, ma si poteva esiliarla. Non sapeva se avrebbe potuto gareggiare alle nuove Olimpiadi: ‘Non c’erano palestre, ma cercai allenarmi: un albero caduto era la mia trave, correvo nei sentieri della foresta’. Il regime si rese conto che impedirle di andare in Messico sarebbe stato più imbarazzante che lasciarla partire.

Quelle Olimpiadi furono la meraviglia di Vĕra. Vinse le parallele, il volteggio, il concorso individuale. Con una decisione strana e politica fu sconfitta nella trave: il pubblico protestò così a lungo che la giura fu costretta a rivedere il punteggio di Vĕra, ma non le fu sufficiente per farle vincere un oro meritato. Nella gara a corpo libero, un’altra decisione arrogante dei giurati alzò il punteggio della sovietica Larisa Petrik: non bastò questo aiuto a strappare l’oro a Vĕra, ma le due atlete finirono a pari merito. Entrambe salirono sul podio più alto. Una doppia ingiustizia, il potere di Mosca, tutti ne sono certi, decise il verdetto delle due giurie.

Vĕra è sul podio. Al suo fianco l’atleta sovietica. Ecco, il loro inno. ‘Non pensavo a niente – ricorda la ginnasta – Ho distolto lo sguardo dalla bandiera e ho abbassato la testa. Fu un gesto istintivo, venuto fuori dal cuore e dall’anima’. Un gesto minimo, quasi impercettibile. Non sfuggì agli uomini di Mosca. Ne chiesero la testa. Il destino di Vĕra fu segnato. Per il potere non era più una leggenda, era un nemico. Un nemico pericoloso. La gente di Praga era con lei.

 

Ci fu il tempo per un’ultima felicità: il giorno dopo le medaglie, Vĕra si sposò. Nella cattedrale di Città de Messico. Lo aveva promesso a Josef Odložil, mezzofondista cecoslovacco: ‘Se io vinco e tu vai in finale, ci sposiamo’. E così fu: diecimila persone si affollarono nello zocalo della capitale messicane per applaudire a quelle nozze. Vĕra divenne la novia de Mexico. Immagino che avrebbe potuto rimanere all’estero, chiedere asilo, costruire una famiglia lontano dalla Cecoslovacchia. I messicani l’adoravano. Lei tornò a casa. E i nuovi padroni di Praga, gonfi di rancore, pianificarono una gelida vendetta: niente più gare, Vĕra rimase senza lavoro, le impedirono di allenare, la misero al bando. Le fu vietato di viaggiare. Nessuno poteva parlarle, incontrarla. Era infetta, appestata. ‘Vollero cancellarmi. E ci riuscirono’. Sopravvisse pulendo case e con allenamenti clandestini a ragazze talmente coraggiose da sfidare i divieti polizieschi. Non ritirò mai la sua firma al Manifesto delle Duemila Parole. Solo oltre dieci anni più tardi, il regime acconsentì di lasciarla partire nuovamente per il Messico (là, ancor oggi, non l’hanno mai dimenticata) dopo la minaccia del paese latinoamericano di interrompere le esportazioni di petrolio verso Praga. Quando, due anni più tardi, il Messico decise di non vendere più petrolio alla Cecoslovacchia, ancora una volta Vĕra tornò a Praga. Solo, nel 1989, alla caduta delle tirannie dell’Est, Vĕra riapparve: Václav Havel, primo presidente della Repubblica Ceca libera, la volle al suo fianco come consigliera. Nemmeno Praga aveva dimenticato la leggenda della sua ginnasta. Nel 1998 entrò a far parte nell’hall of fame della ginnastica internazionale.

Oggi Vĕra ha 74 anni. Ha superato tragedie familiari e una lunga, profonda depressione. Non si esce incolumi da anni di persecuzioni. Ma è stata capace di riemergere ancora una volta. E a chi le chiede: ‘Perché?…perchè non hai ritirato quella firma ?’, lei risponde: ‘Se avessi rinnegato quella speranza, la gente che credeva nella libertà, avrebbe perduto fiducia e coraggio. Volevo che conservassero almeno la speranza’. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.