Dicono che le acque del lago Tana, grande lago dell’Etiopia, siano poco profonde. Ma, nelle prime ore del pomeriggio, si alza, in certe stagioni, un vento che appare leggero, ma che, invece, è capace di scatenare improvvise tempeste. I contadini-pescatori del lago temono questa furia e sanno scrutare nel cielo i segni della rabbia del Dio delle acque: prima che il suo malumore si scateni, cercano un riparo per le loro barche di papiro e lasciano che il tempo si rassereni.
Solo una volta mi sono trovato in mezzo a questo agitarsi di vento e di acque. La mia guida, un ragazzo giovane, figlio di una famiglia di contadini che mi aveva avvicinato sul pontile della città di Bahir Dar, deviò, non appena vide le nuvole addensarsi, la sua fragile imbarcazione verso una spiaggia di piccole pietre e chiese ospitalità a una famiglia di contadini. Offrirono thè ed ‘njera……
Molti anni fa, era il 1994, se non ricordo male cominciai così il mio primo viaggio ‘libero’ sul più grande altopiano dell’Africa. Fu il primo passo di troppi chilometri. Ci volle quasi un anno per intravedere qualche frammento di Etiopia. Ci vollero mesi e mesi per scrivere le pagine dei miei ricordi. Per trasformare taccuini e cassette in una guida a quel paese che cominciai ad amare sotto una tempesta. Oltre cinquecento pagine, il tentativo si raccontare, più che di guidare, la voglia di essere assieme a chi avrebbe viaggiato con in mano quanto avevo scritto: la guida all’Etiopia, uscita per la Clup nel 1996, cercò di mettere assieme la sacralità cristiana degli altopiani con le santità islamiche dei bassopiani, le meraviglie di un’architettura medioevale (Gondar, i prodigi di Lalibela, l’eccezionale civiltà rupestre del Tigray) con la modernità ribelle dei rasta di Bob Marley, le storie degli ebrei neri d’Africa con la brusca generosità degli afar, popolo del più bello dei deserti al mondo. Soprattutto cercò di narrare dell’anima dei mille popoli dell’Etiopia che appena riuscii a vedere in quelle ore silenziose passata in una capanna del lago Tana.
La guida all’Etiopia è uscita nel dicembre del 1996. Per la piccola casa editrice Clup. Allora costava 48mila lire. In due anni, andò esaurita. Cinquemila copie, mi dissero. Dedicai quel lavoro ad Alex Langer e a due persone che non c’erano più e che nessuno ricorderà più: Fatima e Getacho. Il libro oggi è introvabile. So che ne circolano alcune fotocopie. E qualcuno ha trovato una copia superstite su Internet. Io ne posseggo un solo volume. Scarabocchiato e riscritto mille volte. Un lettore erudito, con cui ho intrattenuto una corrispondenza feconda e aspra per molti anni, vi ha trovato oltre quattrocento ‘inesattezze’. Un ingegnere italiano seguì le tracce del mio libro e, molti anni dopo, decise che quella terra sarebbe stata la sua terra: ha costruito un lodge di grande bellezza su uno sperone di roccia nel cuore del Tigray. Un giorno ci siamo trovati e lui mi ha raccontato la sua storia. Io ho smarrito lo sguardo nel panorama che mi stava mostrando dall’alto di un balcone di roccia.