Israele Palestina – Haifa
Haifa è un patchwork
Haifa è un patchwork. E’ una città di tasselli che cercano di incastrarsi l’uno con l’altro. A volte ci riescono con bella e felice confusione; a volte, invece, convivono, gomito a gomito, quartiere a quartiere, palazzo a palazzo, limitandosi a sfiorarsi con qualche stupore e indifferenza. Haifa è una città giovane, ha appena duecentocinquanta anni di vita e ha avuto cura e tempo per scegliersi un bel posto dove crescere.
Il monte Carmelo sovrasta l’unica, vera baia di questo angolo di Mediterraneo, il clima è mite, gli inverni sono dolci e, per sfuggire all’afa dell’estate, basta arrampicarsi sulle alture che proteggono la città per trovare qualche sollievo. Haifa, terra accogliente e solare, ha avuto un curioso destino: qui non ci sono deserti solitari nei quali ritirarsi a pregare, non ci sono pietre sacre alle tre grandi religioni che hanno eletto la Palestina a luogo santo, da qui non sono passati né Mosè, né Gesù, né Maometto, eppure eremiti e pellegrini, sconosciuti leader religiosi e militanti di nuove fedi hanno scelto questa città come rifugio, come culla dei loro culti. Mille anni fa fu qui che crociati mistici abbandonarono le armi per ritirarsi in una vita di contemplazione: qui nacque l’ordine dei Carmelitani. Theodore Hertzl, fondatore del movimento sionista, incoraggiò gli ebrei a migrare verso Haifa. Bahà’u’llah, creatore della religione Bahà’i, volle che qui fosse sepolto il primo dei martiri della sua nuova fede. Musulmani dissidenti, provenienti dall’India, hanno scelto il monte Carmelo come luogo dal quale continuare a predicare il loro credo pacifista. Sì, Haifa è un patchwork: se gli uomini delle religioni hanno scelto questa grande baia come la loro nuova casa, Haifa, soprattutto nei primi decenni del ‘900 (i più scintillanti della città, allora capace di gareggiare con Beirut), è laica, operaia, rivoluzionaria, comunista. Qui immigrati di ogni terra sono arrivati per lavorare al porto o nelle grandi raffinerie che accolgono il petrolio degli oleodotti provenienti da Kirkuk, altri diventarono operai nelle industrie sorte attorno ai commerci di quegli anni intensi o magazzinieri delle frenetiche società di import-export. Questa è la città dove grandi intellettuali palestinesi (Emile Touma, Emile Habibi) hanno continuato a credere, per tutta la loro vita, anche dopo la prima guerra arabo-israeliana, nella possibilità di convivenza fra arabi ed ebrei.
La città laica e la città religiosa, ad Haifa, si toccano di continuo, spesso si ignorano, a volte si scrutano e si inventano un equilibrio per convivere. A partire dalla seconda metà dell’800, comunità di immigrati decidono di insediarsi nella stretta piana fra la montagna del Carmelo e il Mediterraneo: sono coloni tedeschi ultrareligiosi, arabi musulmani e arabi cristiani, ebrei, bahà’i persiani, armeni, greci che, con impazienza, costruiscono i loro villaggi e quartieri per poi rendersi conto, quasi per caso, che, in fondo, avevano progettato e tirato su una città nuova. Haifa non nasconde le sue differenze, le mostra e sembra spiegare che la ‘coesistenza’, parola molto usata per raccontare questa città, è possibile anche in questa terra così lacerata. In poche righe è Sélim Nassib, scrittore libanese, a raccontare, come se fosse un acquerello, l’Haifa del primo ‘900: ‘Abbarbicata sulle pendici della collina, la città guarda il cielo davanti a sé e la baia giù a picco. Le ville sono situate sulla sommità, le case borghesi nel mezzo e i quartieri popolari nella città bassa, intorno al porto. Sulla strada che scende si cambia classe a ogni curva’.