Val Borbera Val Curone
Attraverso le valli di notte. E mi perdo in una nebbia fitta. Ad Arpicella, paese che non riesco nemmeno a intuire, finisco dritto in una vigna: mi diranno, poi, che la sua curva a gomito è famosa fra i valligiani. Mi arrampico per tornanti improvvisi, scollino, tiro il fiato e subito ridiscendo per strade lillipuziane che si disperdono in bivi, deviazioni, crocicchi, strade poderali. Non ho tempo di capire dove sono che risalgo nuovamente. Scopro che da questa parti è nato Fausto Coppi che, con i rapporti di allora, mai si alzava sui pedali lungo l’impennata che porta a casa sua. C’era anche una ragione geografica e un mestiere, garzone di panettiere, per la forza delle sue gambe.
Alla fine muore anche il mio cellulare (questa terra è marginale anche per gli squali della telefonia) e la carta stradale non mi aiuta. Cerco un bar aperto, una luce di qualche casa. Niente da fare. La nebbia confonde noi di città, ho la sensazione di essere in un deserto. Ma ne intravedo, in un momento di perfezione, la splendente bellezza rurale quando, a Casasco (il paese è una macchia scura), mi ritrovo sopra la coltre dell’umidità. Labirinto di valli e vallecole. I torrenti (il Curone, il Borbera, il Grue, l’Ossona, lo Spinti, la Trebbia. Quanti altri?) trascinano praterie di ghiaie, le loro acque hanno il colore del ghiaccio. L’arco degli Appennini chiude l’orizzonte verso Sud, la pianura Padana è laggiù e spinge la nebbia verso le colline. Anche il mare, fronte contrapposto, è a un passo. Oltre le montagne. Scontro di venti e di climi. Artico e Mediterraneo. Sfida di dialetti e parlate fra una valle l’altra: in val Borbera sono liguri, adorano il pesto e le vecchie case hanno tinte color pastello; la val Curone, invece, guarda alla pianura lombarda, i lunghi inverni sono scaldati dalla panissa, corposa zuppa di riso e salami. Dove sono finito?